Le nostre serate vetero



Profondo Nord Le mie amiche femministe hanno dai 42 ai 64 anni e sono, guarda un po’, tutte belle, non solo... dentro. Alcune sono femministe storiche per aver partecipato direttamente; le più giovani, allora erano bimbe ma si sono schierate spontaneamente, vivendo. Alcune hanno bellissimi figli tirati su in totale autonomia quasi sempre gioiosa; alcune sono single, altre hanno un compagno che non coabita, qualcuna è anche attualmente sposata. Si chiamano Laura, Paola, Nicoletta, Annì, Cicci...

Una volta al mese ci incontriamo. Ci vestiamo bene e decidiamo di cenare, a volte al ristorante, spesso a casa di qualcuna di noi. Portiamo del buon vino, in tavola molte verdure e spesso piatti etnici imparati durante i viaggi.

Quando ci incontriamo, dedichiamo del tempo ad osservarci: il vestito, la maglietta, il trucco, i capelli, la ruga... “Ma dov’è?... La vedi solo tu.” “Devo dedicarmi di più al mio aspetto... Ma il tempo dov’è?... Ho perso tre chili, ma sono stanca morta... La palestra, che pizza...”
Intanto si comincia con l’aperitivo, quasi sempre un prosecchino nel suo flûte. Si accende una sigaretta... Già, quasi tutte sono rimaste fumatrici, qualcuna sopporta. In sottofondo, Kusturica riscalda.

Dieci minuti di pettegolezzi vari, risate, e poi a tavola, senza ansie. Slow. Piano piano i discorsi scivolano sul lavoro, le difficoltà, il non tempo, ma leggeri, leggeri come chi è soddisfatto delle proprie scelte.. Poi via via si parla del mondo, di un concerto, di film, del libro appena letto, e si arriva alla politica. Ed è sorprendente ogni volta scoprire quanto sono profondi i commenti, sintetizzati in poche frasi, quanta partecipazione, quanto interesse pensato, quanta attenzione ai fatti, alle parole pronunciate, a quelle sentite, quanti collegamenti alla vita quotidiana e alle ansie da futuro.
I discorsi filano via senza interruzione, collegati, personali e universali, un flusso di parole piane e chiare e forti, completamente condivisibili, sensate, creative, armoniose, anche quelle contro.

Si sta bene insieme, si parlotta per ore... Poi un’occhiata all’orologio e, ordinate come ragazze, ci si bacia sulle guance e si torna a casa: contente. Già, le mie amiche hanno dai 42 ai 64 anni, sorridono spesso, anche quando si potrebbe piangere, e sono, guarda un po’, tutte belle.



Stelle a mezzogiorno



Gennaio, ore 12:15. A quest’ora, d’inverno, il sole basso raggiunge la finestra della mia casa. La sua luce , il suo calore, mi si appoggiano sulla nuca.
I raggi nitidi che azzurrano il vetro colpiscono i prismi di cristallo dei miei orecchini e si scompongono in decine di arcobaleni vividi e minuscoli, proiettati sullo schermo bianco e abbagliante del foglio che ho di fronte. Scrivo.

Lo scorrere della mano provoca un impercettibile movimento del capo e l’oscillazione degli orecchini riproduce sulla pagina un caleidoscopio di colori in movimento così intensi e sgargianti da ricordarmi di non essere terreni ma provenienti da una stella, il sole, la cui luce attraversa lo spazio e casualmente si appoggia anche qui, sulla scrivania, mi scalda i capelli e le spalle. Allungo le mani, a giocare con i suoi arcobaleni inusuali e sorprendenti, che passano e ripassano sulle dita come gemme sfavillanti: violetto, porpora, giada, pervinca, rubino, oro...

Mi chiedo cosa sia più magico.

Il sole, la stella che produce questa energia e questa luce.
La terra, avvolta dall’atmosfera azzurra che filtra la violenza e il fuoco di quei raggi.
L’uomo, che ha pensato case con finestre, e vetri che fanno passare la luce del sole.
L’artigiano, che ha creato gli orecchini di cristalli sfaccettati e rifrangenti.

Qualche minuto. La terra, girando, ha già spostato il raggio di luce.
Tutto è di nuovo appiattito, incolore.
Riprendo a scrivere e accendo la lampada.
Un’altra magia, lo so.



Del Tempo e dell’Odio



Da mesi sto scrivendo quello che dovrebbe diventare un libro, e in questi giorni sono alle prese con la mia infanzia dentro la guerra. Andando ai ricordi della sofferenza che mi circondava allora, tanto da dover interrompere spesso la scrittura per le lacrime che cadono sulla tastiera, per reazione mi ronza in testa un’intervista a Giampaolo Pansa che ha presentato il suo ultimo libro La grande bugia che fa seguito al precedente Il sangue dei vinti. Sulla lotta di liberazione, la Resistenza.
Lui, figura affidabile per tanti anni a testimoniare e scrivere la nostra Storia, ora presenta i suoi libri nelle sezioni di Alleanza Nazionale per farsi applaudire. “Per amore di verità” dice, con uno sguardo obliquo che non riesce più a fermarsi negli occhi altrui.
Lascialo perdere, ho pensato, peggio per lui.
Continuo a scrivere, ma non riesco a lasciar perdere.

Chiunque non abbia vissuto quegli anni DAL BASSO, FRA LA GENTE COMUNE, non può permettersi di giudicare. Giornalisti, storici, revisionisti che hanno l’ardire di scrivere e soprattutto di fornire versioni edulcorate, smemorate o ribaltate (da allora e fino ai nostri giorni) e addirittura giudizi morali sulle azioni compiute in quel CONTESTO, per condannarle con anima bella e stomaco appagato e chiappe ben sistemate su una poltrona, tanto da farsi cogliere da pietà tardiva e difendere l’esercito usurpatore e feroce chiamandolo Il sangue dei vinti, non creda di cavarsela pensando che non sarà più raggiunto dall’odio dei partecipanti o semplici testimoni di quel lontano periodo poiché tanti avranno cessato di vivere. Basterà l’odio dei figli, dei nipoti, per niente sbiadito quando davvero si è sofferto così atrocemente da marcarne, per generazioni, il sangue.
Chi, allora, decise di ribellarsi per difendersi e difenderci, armato di purezza, passione, odio e fucile (sedici, diciassette, diciotto, vent’anni), resterà il nostro eroe liberatore.
L’odio, visto da fuori e da così lontano, appare sempre ingiusto o ingiustificato o esagerato, specialmente quando la Storia e i suoi corpi martoriati diventano una immagine sfocata.
Se invece, caro Pansa, quello che vuoi condannare è un odio politico che viene a galla con tanto ritardo, allora anche tu, per motivi reconditi, coltivi lo stesso odio che denunci, però senza l’impeto, la carne, il sangue che ha prodotto l’altro.
Un odio vuoto, stantio e mortifero, un odio soltanto politico, pieno di violenza, violenza politica gelida e cieca che però ricade su tutti. Violenza che tu, con la tua faccia affidabile fino a pochi anni fa, getti su ciò che è stato compiuto anche da un odio, certo, ma di reazione-riscatto, preceduto e partorito da una sofferenza che per anni è macerata nel dolore della morte, nel senso di ingiustizia, paura, impotenza, nella disperazione che soltanto un evento bestiale come una guerra può portare.
Il tuo odio politico-violento ti acceca fino a farti pensare che tutto ciò che è stato si possa tradire portando altra sofferenza e regalando, contemporaneamente, a quella parte politica che la guerra l’ha scatenata e sostenuta ferocemente fino alla fine, una dignità non meritata.

C’è da chiedersi davvero cosa ti danno in cambio.
Parli con sdegno delle vendette che seguirono. Anima bella, basterebbe chiedersi chi ha cominciato e domandarsi che cosa HA FATTO per provocarle. Ripercorrere, quindi, tutta la Seconda Guerra Mondiale!

Credo tu abbia l’età per alzare la testa e guardare finalmente il cielo, le chiome degli alberi, lo specchio.
Mettici la tua vergogna per assolverti dentro quella nostra povera Storia, e la pietas alquanto strabica, che ti è rimasta in tasca, riservala per te stesso.

L’odio, come l’amore, ha bisogno del Tempo per toglierti le unghie dal cuore. Ed è veramente stolto chi lo voglia, ancora oggi, rinvigorire.



Murales



Sono comparse in tre città italiane, in questi giorni, alcune scritte sui muri contro le ingerenze della Chiesa nella politica italiana. A chiamarla ingerenza si fa peccato perché è una bugia. L’atteggiamento della Chiesa che ordina ai cattolici come votare è una intromissione inaccettabile di uno Stato straniero. Anche se ormai niente si può dire. Prima di dare qualsiasi stantio e prudentissimo giudizio su questa faccenda bisogna fare la premessa obbligatoria e cioè che la Chiesa ha il diritto di dire la sua, e questa regola viene osservata proprio da tutti. Chi non usa il preambolo, tace.

Si può verificare giorno dopo giorno l’occupazione di spazi mediatici strategici da parte della Chiesa offerti dalla Rai e in parte anche da Mediaset, in ogni tipo di trasmissione e su qualsiasi argomento. Mi riferisco al fatto che in prossimità di feste religiose canoniche, tutta la programmazione viene modificata o ne è contagiata, non solo nella data che ricorda l’accadimento, ma è preceduta e seguita da giorni dedicati, da una coda insopportabile che lo commenta, lo fa rivivere e trae linfa per rendere ogni occorrenza un evento. Quest’anno, dopo giorni di digiuno mediatico obbligatorio per chiunque laico, chi ha avuto l’ardire di affacciarsi ai media nel giorno di Pasquetta, reso euforico dal tepore primaverile che invitava a uscire di casa per andare a fare merenda sui prati, ha dovuto fare marcia indietro. Lo spazio era ancora occupato da lugubri commemorazioni della... festa passata. Ma, costretti, lasciamo da parte il mezzo televisivo perché irraggiungibile e destinato a peggiorare (chissà qual è l’audience durante queste interminabili crociate, sarebbe interessante se proprio gli sponsor che dettano legge sulla qualità del prodotto televisivo ne chiedessero conto).

Vorrei spostare l’attenzione sulla Radio. Radio Uno, la rete più seguita dagli italiani, ha ormai regalato al Vaticano la sua domenica mattina. Le trasmissioni che sono state l’immagine dell’Italia che la domenica mattina si rilassa e all’interno delle case prepara un buon pranzo, si dedica alle faccende, fa la doccia, si trucca, si rade, carica la lavatrice, e facendo tutto questo ascolta la radio che fino a poco tempo fa parlava di Europa, ebbene tutte queste persone, milioni, sono costrette a cambiare canale, perché la Messa è preceduta e seguita da una serie infinita di litanie religiose fin dal primo mattino. Possiamo ancora una volta sottolineare lo straripamento di Radio Maria sulla qualità dell’ascolto Rai, che spesso semplicemente scompare.

Che fare? Qualcuno, sparuto, ha osato scrivere la sua esasperazione sui muri e, si sa, la sintesi murale può apparire estrema. Infatti quei caratteri tracciati con la vernice rossa, che da che mondo è mondo sono un modo di comunicazione locale, sono diventati una notizia da giornale radio nazionale. Immediatamente la violenza del risalto dato alle parole tracciate con lo spray, è diventato un monito, una minaccia, un suggerimento, un accostamento alle Brigate rosse, un atto terroristico. È stato commentato dai presidenti delle Regioni. Il Piemonte si è distinto per le parole della sua Presidente: “Quello non è il modo di contestare.” Sono curiosa. Quale sarebbe ormai in questo Paese un modo per contestare? La politica è muta o consenziente. Non so più chi, fra la gente comune, si senta rappresentato. Siamo dunque prigionieri politici? Si deve continuare a votare per qualcuno che non ci soddisfa soltanto perché l’avversario è ancora più impresentabile? O è proprio questo fatto che permette alla politica di essere così distante da questo Paese? Mi dica, Presidente, come e dove si può manifestare il proprio dissenso senza essere immediatamente demonizzati? Un tempo, qualcuno si indignava per l’ingiustizia; ora, gli stessi, si scandalizzano che ci sia ancora qualcuno che per quello stesso motivo si indigna.

Ripeto la domanda: “Siamo dunque prigionieri politici?”



A proposito di genere...



Giuliana al Circolo dei Lettori di Torino “Sesso in cambio di favori”, un articolo di divulgazione scritto da Luigi Bignami, riporta i risultati di una ricerca scientifica pubblicata su Animal Behavior che metterebbe in evidenza un mercato del sesso anche fra animali. Fra primati. Grandi scimmie. Secondo chi scrive l’articolo o (non è chiaro) il ricercatore Michael Gumert, le femmine dei macachi si “concederebbero” ad un rapporto sessuale col maschio che ha eseguito su di loro una pulizia accurata, dai parassiti ai nodi nella folta pelliccia. La concessione sessuale sarebbe, secondo il ricercatore (o il giornalista), il pagamento per questa operazione che peraltro mentre viene effettuata eccita visibilmente il maschio.
Ora, questo mi pare un esempio lampante di lettura e deduzione di “genere”. Genere Maschile. Plurale.
Infatti, nessuno dei due maschi (ricercatore e giornalista) viene minimamente sfiorato dal dubbio che anche la femmina si ecciti (in modo meno visibile) durante questa lunga pulizia che stimola tutti i centri nervosi, compresi quelli del piacere, che percorrono per intero la sua pelle. Nel corso di questa operazione la femmina emetterà, come minimo, degli odori che eccitano il maschio. Si potrebbe ritenere che la conclusione sessuale sia proprio quella logica, dopo il lungo contatto eseguito con cura, delicatezza e tempo tramite le dita, le unghie e i denti dal maschio. Questi comportamenti vengono invece catalogati come la prova: “La prima evidenza di un mercato sociale nei primati, influenzato da interazioni sessuali”.
Svegliati, homo sapiens! Forse se tu accarezzassi la pelle della femmina con cura, delicatezza e tempo, scopriresti che anche lei avrebbe voglia di un rapporto sessuale, non per ripagarti ma per seguire il suo desiderio, stimolato dal piacere epidermico e psicologico del contatto delle tue mani sul suo corpo.
Ma perché scuoti la testa, homo sapiens?... Cos’è che ti manca? Non hai più l’olfatto della scimmia, o hai perduto la delicatezza... Oppure ti manca sempre il Tempo per l’Amore...
Oppure, mancante di olfatto, delicatezza, Amore e Tempo, è proprio il tuo povero, errante e mai appagato desiderio ad avere bisogno in eterno del simulacro del mercimonio?

N.B.: Non si parla di tutto il genere maschile, ma della sua maggioranza fin qui conosciuta (...in Occidente!???...).

Super Senior - Pagina iniziale