Che tempi eran quelli

Da quando dei giochi mi sono stancata,
l’infanzia felice d’un soffio è volata.
Si segna di rosso la nuova stagione...
Mia madre a spiegare, io zitta a sentire;
tutte e due arrossire.

Poi stretta a mio padre che non sa più parlare,
su un’auto a noleggio che porta all’altare.
Prevista la strada, secondo il rituale
la festa è iniziata.
Evviva gli sposi! Che bella giornata.

Che tempi eran quelli a cercare di uscire,
dai luoghi comuni cercar di fuggire.
Provare a cambiare continuando a sbagliare
per vivere in due.
Che voglie diverse, le mie e le tue.

Tre anni vissuti nel bene e nel male.
Si sa, non è facile sapersi accettare...
Fra mille bufere cercar d’imparare
a volersi anche bene,
‘ché un giorno l’amore poteva passare.

Ma quando l’amore davvero è passato,
il bene purtroppo non è più bastato.
Il letto di notte serviva a parlare
di colpe diverse,
di quanto ho sofferto e t’ho fatto passare.

E un giorno d’inverno, tra pacchi imballati,
stavolta per sempre ci siamo lasciati.
Disfatta la casa fra lacrime amare,
il mondo là fuori
ognuno più solo doveva affrontare.

Spiegare ai parenti, che impresa vana!
Tua madre, con gli occhi, mi ha detto: «Puttana!»
Un debito grande comincio a pagare
a idee e parole
che, intorno, la gente si è fatta prestare.

E invece, la notte, sto sveglia a pensare:
«Fra torti e ragioni, io so che stai male.
Chissà se stai solo o ti fai consolare,
se vai dagli amici,
se almeno con loro riesci a parlare.»

Che tempi eran quelli a cercare di uscire,
dai luoghi comuni cercar di fuggire.
Modelli di vita come burattini,
parole già morte
di polvere e noia, come manichini.

Che tempi eran quelli, con rabbia cercare
le nuove parole per farmi capire.
La voglia e il diritto a un altro avvenire
di donna e persona
costretta a gridare per farsi sentire.

E per quella strada ho lasciato per sempre
chi ancora chiedeva se ero innocente.
Rompendo stampelle d’oscura morale,
un pezzo di cielo spostava le stelle,
provava a sognare.

E il tempo che intanto severo è passato,
trent’anni di vita ha ormai cancellato.
Il prezzo d’allora è servito a pagare
vittorie più grandi.
Migliaia di fiori ha visto sbocciare.

C’è solo una cosa che ancora fa male:
è quel che m’hai detto là in fondo alle scale.
Quell’ultimo giorno m’hai chiesto: «Perché,
se t’ho amata tanto,
non posso invecchiare insieme con te?»

Quell’ultimo giorno m’hai chiesto: «Perché,
se t’ho amata tanto,
non posso invecchiare insieme con te?»



I due ruoli

Da quando sono donna, girando la città,
fischiar dietro dagli uomini mi son sentita già.
Al mio passaggio fischiano, ma guardano il sedere.
Mi giudicano e contano sul metro del piacere.

E allora?

E allor mi son seccata di questo ruolo qua
ed ho deciso: «Adesso lo proverò a cambiar.»
E sopra un tram pienissimo ho visto un bel maschietto
ed ho pensato subito: «Io me lo porto a letto.»

E allora?

E allora sopra il tram lo incominciai a fissar.
Mi misi vicinissima, poi cominciai a toccar.
Aveva una gran barba. Leggeva L’Unità,
ma dopo qualche pizzico si è distratto già.

E allora?

E allora strizzai l’occhio appena si voltò
e siamo scesi insieme appena il tram fermò.
«Sono una donna libera e tu sei un compagno.
Facciam l’amore insieme stasera, senza impegno.»

E allora?

E allora, a casa mia siamo arrivati già.
Da una mezz’ora circa stavamo lì a provar.
Ma a un tratto, a disagio lui è improvvisamente.
Per quanti sforzi faccia, non riesce a fare... niente.

E allora?

E allor gentile chiedo: «Che cosa mai t’avviene?
Ti senti spaesato oppur stai poco bene?»
«Mi sento un po’ aggredito, e sopra questo letto
son strumentalizzato. Mi sento un po’ un oggetto.»

E allora?

E allor mi misi a ridere, ma lui s’inalberò.
Si rivestì in silenzio e dopo se ne andò.
Rimasi lì a pensare al ruolo dei due sessi
e come lo scambiarlo procuri dei complessi.

E allora?

E allora mi domando: «Sarà coincidenza?
Quando una donna pensa, procura l’impotenza.
Se devo far la grulla per fare all’amore
o se sia meglio attendere che il mondo sia migliore.»

Campa cavallo...



Mani sgombre
(1976)

Nella stanza accanto li sento parlare di politica.

Mentre levo la terra dalla verdura
e separo foglie marce da foglie buone,
mentre sventro la gallina,
con l’occhio... in un istante
vedo, oltre la tendina,
un battito di cielo.

Lo so, per ritagliare il mio spazio libero là fuori
dovrò avere mani sgombre.
Le mie sono sporche di terra e di sangue.
Sul palmo è appiccicata una foglia di insalata
ma ho già imparato a sorridere fra me e me.

Nella stanza accanto li sento parlare di politica.



7 settembre 1999

Il ramo ricurvo
porta rose autunnali di miele.
Foglie d’oro di betulla filtrano tremule
la luce radente della sera
sulla siepe di bosso.

Oggi è morta mia madre.

È riuscita a passare.
È riuscita a passare...
Tenendo la mano
della sua solitudine
l’ho vista passare
la porta angusta della tenebra.

Riposa lassù, al primo piano,
nel bel vestito.
Sgombra di paura è ora
la sua gelida fronte,
distesa, partecipe alfine
della quiete nel giardino
misterioso e profondo.

Respiro largo, silente.
Gonfia la tenda lassù,
la culla,
piena, leggera.



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