Il nido vuoto

Queste righe voglio dedicarle a quelle persone, mamme e papà, che sono rimaste sole. Per vedovanza, o perché i figli sono lontani o semplicemente perché si sono sposati e hanno lasciato la casa.
È chiamata la sindrome del nido vuoto, e quasi tutti ne abbiamo sofferto. Si presenta come una dolce malinconia, e arriva di soppiatto all’imbrunire. Educata, quasi benefica, s’impadronisce di te e ti rende fragile, arrendevole. Spesso attraversa senza rumore la mia porta, già sprangata per la notte. Io la conosco da tempo... e le ho dato un nome: Giano, perché come lui ha due facce.
A volte è bellissima la solitudine e quell’alone di malinconia che la circonda, perché ti mette a contatto con la tua coscienza, la tua anima; puoi confidare a lei i segreti più intimi, certa che non ti tradirà mai. Ti fa assaporare i momenti di calma da tempo dimenticati, ti rende libera, ti munisce di ali per volare sui picchi più alti, scordando tutte le ingiustizie di questo mondo.
Ma l’altra faccia della solitudine ha un ghigno sinistro, è vendicativa, ti proietta nella mente solo brutti ricordi che ritornano nonostante tu li voglia scacciare, ti attutisce i rumori e ti obbliga alla routine e al troppo silenzio.
L’ozio ti fa stare per ore sul balcone, a vedere la gente che passa e spiare attraverso una finestra accesa la felicità o l’infelicità degli altri. Quasi non t’accorgi che è buio, arriva la notte... e l’insonnia è lì in agguato pronta a cullarti e a torturarti, inducendoti a pensare... ai figli, ai nipoti che non chiamano mai. E tu ti senti vecchia e cominci ad aver paura di tutto. Ti senti sola, come quel cane malandato, forse abbandonato anche lui, perché vecchio e inutile, che tutte le sere passeggia, nella vana ricerca di un padrone, di un riparo, e abbaia verso il cielo per far sentire che esiste.
La casa è vuota, troppo ordinata, e solo il tic tac dell’orologio da cucina ti tiene compagnia. Sono momenti in cui tu non sei più nulla, non vali niente, hai finito il tuo ciclo, e ora come una foglia secca aspetti solo che un alito di vento ti faccia cadere dall’albero della vita senza più speranza.
Se tu, uomo o donna, ti ritrovi in questo scritto, ti garantisco che è solo un periodo, breve o lungo... ma passerà. Non lasciare che altri girino il film della tua vita. Tu sei produttore, interprete e regista. E guardati intorno, perché forse non li vedi, ma ci sono amici che ti vogliono bene. Non lasciarti condizionare dai figli, dalle convenzioni. Vivi come meglio ti piace, perché, ricorda, la vita è una e così preziosa... Non sprecarla in ripicche, rancori, musi lunghi. Cerca d’amare qualcuno, e costruisci con lei o con lui un nuovo cammino per l’ultimo tratto di strada ancora lunga e piacevole da percorrere.



Botte di vita

Mesi fa ho compiuto sessantacinque anni. No! Non ero contenta. Ero diventata di seconda o terza età? Fatto sta che fai un bilancio della tua vita, pensi agli anni che ti restano da vivere... Quanti saranno? Poi un’amica intellettuale, benestante, mi consola dicendo: “Ma è magnifico! Pensa, ora potrai entrare gratis in tutti i musei.” Infatti, avendo una pensione al massimo del minimo di 471 euro, questo era il mio chiodo fisso... andare per musei... bearmi delle grandi opere che solo una città come Roma offre.
Io, come tanti di voi, devo fare non il doppio ma il triplo salto mortale per arrivare a fine mese. Pensavo che, dopo aver lavorato ventiquattro anni come bidella, cresciuto da vedova tre figli, fatto studiare, sposati, sarebbe venuto anche per me il tempo di riposarmi un po’ e non avere più l’affanno della bolletta che scade, i libri ai ragazzi, il cappotto liso da rifare... Invece... siamo daccapo! Si ricomincia. Non puoi comprarti un libro, no al cinema... La pizza con le amiche? Si risolve con la solita scusa di un altro impegno... E i vestiti? Spero sempre che la dieta fatta dalle mie nuore non abbia effetto, perché le loro gonne e camicette non m’entrerebbero più. Per le scarpe... sono sfortunata, purtroppo. Ilo mio piede è piccolo piccolo, e m’arrangio al mercatino. La plastica di cui sono fatte si surriscalda a contatto col piede, e spesso combatto con le vesciche. Dal parrucchiere ci passo... davanti! Vedi le solite signore che ogni settimana si fanno belle e ti domandi: “Quanto spendono! Ma quanto guadagnano?” La macchina? Si, ce l’ho. È giovane. Ha solo quindici anni, e qualche lato della carrozzeria ancora intatto. Io, per non farla affaticare e per risparmiare benzina, spengo il motore nelle discese e la faccio camminare solo l’indispensabile. Per l’assicurazione e il bollo è tutto OK: sono i regali che ricevo a Natale. Meno male che i denti resistono ancora al nemico tempo... Pensare di andare dal dentista è una pura illusione... Così tieni in casa analgesici, antibiotici, e (sbagliando, lo so...) ti curi con il fai da te. Le vacanze? Lontano 1985. Una vacanza a Cesenatico, indimenticabile e unica. Certo, potrei andare in vacanza a carico del Comune... Ma spesso ti mandano nel mese di settembre, in posti ormai semideserti. A pranzo è tutto un raccontare di storie famigliari, di pillole che si ingoiano quasi di nascosto, dell’ultima operazione alla prostata mal riuscita... Però la sera... hip, hip urrà! C’è il ballo, c’è il liscio. Si scende a cena... quasi irriconoscibili. Trucco pesante, pomelli di fard sulle gote tipo Heidi, camicette piene di lustrini, gonne di finto pizzo nero da femme fatale... Gli uomini... camicia rosa da playboy navigato, pantaloni strizzati al punto vita che lasciano strabordare stomaci obesi. Un profumo di pino silvestre inonda la sala, mischiandosi al sudore che scende copioso sul viso di chi sta azzardando un rock’n’roll e mettendo così a repentaglio le sue coronarie. Disfatti, con il rimmel che cola, i volti traslucidi... tutti a nanna! La serata è finita.
Come sono diversi i pensionati poveri da quelli ricchi... I poveri spesso sono grassi; mangiano male, si rimpinzano con tutto ciò che hanno sottomano, gli avanzi in frigo, senza badare a calorie o carboidrati, a vitamine e antociani; riempiono lo stomaco... per non sentire i morsi della fame. I ricchi no. Loro frequentano palestre, bagni turchi, hanno il personal trainer, periodicamente fanno iniezioni di botulino per spianare le rughe. Si circondano di donne più giovani, convinti d’essere amati per loro stessi. Mangiano, sotto la guida di un nutrizionista affermato. Di questi uomini, pensionati ricchi, senti sempre dire: “Che uomo interessante!” Interessante? Perché? Perché lo vedete sempre abbronzato, col suo blazer blu, pantaloni bianchi, foulard al collo, mentre sorseggia quasi annoiato il suo solito aperitivo? È interessante perché il capello bianco dà fascino? La ruga fa volto vissuto? Provate a immaginare quest’uomo vestito diversamente: canottiera sudata, cappelletto di carta di giornale, polvere su tutto il corpo... un muratore, insomma. Sarebbe interessante ugualmente senza la sua industria, la sua barca, la sua notorietà? L’unica cosa interessante è di certo il conto in banca...
I giornalisti spesso ci domandano: “Come si vive con 500 euro al mese?” Non viviamo, infatti. Cerchiamo con ogni mezzo di sopravvivere. Ci priviamo di tutto. Non del superfluo, ma del necessario. Perché non credo sia giusto che i figli, ormai con proprie famiglie, debbano pensare a me, che potrei lavorare ancora. Ma chi dà un lavoro a un pensionato? Credo – come mamma, cittadina – di aver fatto la mia parte nella società. Ho educato tre figli... onesti, lavoratori, rispettosi delle leggi. Ora, in vecchiaia, dopo tutto mi ritrovo meno indipendente di quando avevo vent’anni. Quasi mi vergogno di questo Stato. Ma mi ritengo fortunata. Ho figli che, senza farmelo pesare, m’aiutano. Ma penso sempre a quei pensionati con i figli lontani, con i figli distratti, con i figli egoisti... quei figli che non chiamano mai. Quanti pensionati soli... Dopo una vita a lavorare per la famiglia, ora questa famiglia è troppo indaffarata a correre... e non aspetta chi è rimasto indietro, perché è diventato debole, perché è diventato vecchio. Ed è un ingombro.
Ma i pensionati poveri tutto questo lo sanno... Abbassano lo sguardo e tacciono. Perché non possono fare altro.

Non ricordo chi disse: “La civiltà di un popolo si vede da come vivono i suoi anziani.”

Ho visto rubare scatolette di tonno al supermercato da un povero vecchio.
Li ho visti rovistare nei secchioni dell’immondizia, trascinarsi fagotti di stracci e cartoni, dormire all’aperto anche d’inverno, nell’indifferenza di tutti.
Li ho visti trasportati da un figlio all’altro e depositati, quasi pacchi postali, muti come pesci.
Li ho visti in fila davanti alla posta, sotto il sole, con la testa riparata da un giornale, per ritirare una misera pensione che non basterà a sfamarli.
Li ho visti attendere pazientemente la chiusura del mercato rionale per accaparrarsi scarti di verdure e frutta bacata, lasciata in terra.
Li ho visti sulle panchine dei giardini, con lo sguardo perso nel vuoto, a parlare da soli...
Li ho visti affacciati alla finestra per ore, sperando che qualcuno vada a trovarli...
Li ho visti nei letti d’ospedale, sguardi indagatori e impauriti che combattono ancora... nonostante tutto.

Poi la notizia in TV: ci sarà un’ambulanza per il soccorso degli animali. Non ho nulla contro gli animali... ma permettetemi d’incazzarmi, incazzarmi di brutto, e desiderare di sparire da questa cloaca di mondo... senza cuore né giustizia.



C’è una scimmia...

Come ogni pomeriggio, era mia abitudine sorseggiare un tè affacciata al mio piccolo balconcino. Stavo ammirando l’albero che toccavo quasi con mano, tanto era vicino alla ringhiera di ferro battuto. Era stracolmo di fiori bianchi che di lì a poco si sarebbero trasformati in rosse ciliegie. Che io non riuscivo mai a vedere, perché i merli non lasciavano neanche il tempo di maturare i frutti e ne facevano man bassa. Quest’albero in piena fioritura riempiva lo spazio di tutta la mia finestra, e guardandolo attraverso i vetri sembrava che un pittore romantico lo avesse dipinto per ricordarmi la bellezza della natura.
Ero assorta, e mi beavo dell’aria tiepida primaverile, del tè dolce al punto giusto, dell’albero... Ma all’improvviso vidi un animale che saltava da un ramo all’altro con agilità e destrezza, scotendo i rami che lasciavano cadere i fiori bianchi, da sembrare lacrime che sgorgavano per il dolore di quei salti maldestri e ripetuti.
Noooo... non poteva essere. Ma ora la vedevo bene, anzi era lei che osservava me! Non potevo credere ai miei occhi! Avevo di fronte a me un macaco... una scimmia!!!
A Roma, in un quartiere popolare, non è certo usuale vedere scimmie sugli alberi. Ci fissammo come due cow boy al duello finale, ignorando chi di noi due avesse più paura. Poi mi precipitai a chiamare i ragazzi, per renderli partecipi del raro evento. “Venite... ho visto una scimmia sul nostro albero!” Il più piccolo dei miei figli mi guardò con aria di sufficienza, poi togliendomi dalle mani il bicchiere di tè disse: “Ma che è whisky?”
Tutti accorremmo, ma la scimmia si era dileguata in un battibaleno. Sembrava che si divertisse a giocare a nascondino non appena io, trafelata, avvertivo i ragazzi. Parecchie volte... veniva e spariva, veniva e spariva. Così i figlioli non mi seguivano più, anzi dicevano: “Va bene, mamma, c’è un branco di scimmie sull’albero!”
Non credevano a ciò che dicevo... Anzi, cominciavano a preoccuparsi per la mia salute mentale. Li sentii parlare tra loro dell’eventualità di consultare un medico per me... Forse avevo le allucinazioni!
La scimmia tornò... e la curiosità la fece entrare con un balzo nel salotto. Chiusi la finestra. Ora a noi due, piccola scimmia... Vediamo se esisti o se ho le traveggole, come si insinua. Dall’alto della mia credenza Chippendale, la scimmia scrutava il salotto emettendo piccole grida. Aveva paura? Io più di lei.
Pregai i ragazzi di raggiungermi in salotto... per prendere un cioccolatino. Accorsero... e quasi in coro esclamarono: “Meno male che stavolta non si tratta di scimmie!” Nel momento preciso in cui entrarono, la scimmia fece un grosso balzo rasentando le loro teste. Gridarono tutti per lo spavento. Poi... “Mamma, la scimmia!” “Quale scimmia?”, replicai. “A Roma non ci sono scimmie sugli alberi. Ci sono lucertole, uccelli, gatti... Scimmie no, proprio no. Avete le allucinazioni? Che cosa avete bevuto?”
Intanto l’animale impaurito rovesciava tutto ciò che trovava sul suo cammino e mostrava i denti affilati. Furono attimi di panico, finché finalmente riuscimmo a buttargli addosso una vecchia coperta e l’immobilizzammo.
La proprietaria di Kika (così si chiamava la scimmia...) fu rintracciata e sparì con lei. I miei figli si scusarono per non avermi creduto e aver dubitato di me. Però oggi, dopo quell’episodio, ho dalla mia che posso dire anche delle baggianate. I miei figli mi credono sempre!



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