Liliana Rieccomi tra voi... Sono tornata dal Venezuela.

Tra un drink e una papaia,
la mia vacanza è stata piuttosto gaia.
È stato tutto molto bello:
ma allora perché sentivo nostalgia di voi e del castello?


Sono capitata in un periodo politicamente turbolento ed io lì la politica non la capisco più di tanto, forse perché ne ho una visione troppo europea. Ma nessuno è riuscito a spiegarmi perché in questi paesi ricchi (il Venezuela credo sia il quarto esportatore di petrolio nel mondo) i poveri sono sempre più poveri e i beneficiari di tanta ricchezza sempre gli stessi.

È la quarta volta che torno in Venezuela, ormai la conosco un po’ tutta. È una terra stupenda. Lì ho degli amici che ci vivono da molti anni, e capisco quanto sia difficile per loro un ritorno in Italia. Assomigliano a quelle piante enormi che ci sono lì, che hanno un’infinità di radici che pendono dai rami e non riescono mai a piantarsi nel terreno. Sono radici sofferte!

Questa volta, a differenza delle precedenti, ho avuto con il cambio un grosso vantaggio. Mi sono resa conto (a parte il fatto che il Bolivar è molto inflazionato) quanto sia forte l’euro se paragonato al dollaro. Vi faccio un esempio: un paio di scarpe che avevo visto in Italia a 160 euro, le ho trovate a Caracas uguali, stessa marca, stesso modello, a 40 euro.

Sono stata a Cioronì, un posto di mare molto conosciuto con una spiaggia stupenda, che è riuscito a conservare intatto lo stile caraibico. La gente è gioviale e gentile, e vive felicemente la propria fatalità. Ci sono dei piccoli ristoranti dove si mangia soprattutto pesce. Il costo medio: 8 euro. Mi sono sentita una benestante!

A me piace tutto il Sud America. Sono stata in Perù, in Argentina, in Brasile. Le prossime volta vi parlerò dei miei viaggi, che sono stati tanti, e invierò anche delle foto.

Sono contenta che ora abbiamo un sito... Mi farò spiegare con esattezza cos’è. So già che farò molta fatica a capire, anzi do per scontato che non lo capirò affatto... Ma sono contenta lo stesso.

Ah, dimenticavo! Ho fatto vedere a Caracas la videocassetta del nostro spettacolo, che ha suscitato emozioni enormi e ricordi nostalgici. Tant’è che ha coinvolto anche me... Alla fine piangevamo tutti! I gin tonic aiutano la lacrima!

Nessuno voleva credere che eravamo dei dilettanti... Ho lasciato loro la cassetta, la faranno vedere. Non si sa mai!!!



Prime pennellate sul Venezuela

Sono tornata da Caracas dopo un soggiorno di oltre un mese... Questa volta, a differenza delle precedenti, non mi sono allontanata molto dalla capitale, se non per qualche escursione in paesini limitrofi che, non molto distanti dal grande centro, hanno conservato le caratteristiche topografiche di un tempo, dove domina lo stile colonialista. Deliziosi ristoranti di cucina creolo-spagnola rallegrano le gite con ottimi vini cileni (i costi sono suppergiù come in Italia, ma gli stipendi sono più bassi).
Non posso dare giudizi politici in quanto non ho avuto modo di parlare con la gente del posto... Ho frequentato molto, allargando il giro, gente di ceto sociale alto, giunta in Venezuela anni fa con ricchezze già create in patria e che lì si sono più che triplicate grazie anche a benefici che ora sono un po’ diminuiti. Dalla Svizzera, dove hanno portato i capitali, arriva ogni mese un broker che li aggiorna su guadagni e interessi, che gli permettono di mantenere le varie case che hanno a Miami, all’isola di Margarita... dove vanno su e giù. Le signore (quasi tutte vedove di più mariti), tra un drink e l’altro (e sono sempre molti...) parlano con cognizione di causa di investimenti diversificati, che danno loro la certezza di essere immortali (sempre se Chávez, ritenuto un acerrimo nemico, le lascia in pace...).
Sono stata invitata al matrimonio del nipote di un pezzo grosso di una compagnia petrolifera... Centocinquanta persone, tutta la Caracas bene... I gioielli delle signore, quanto a luccichio, gareggiavano con le lampadine degli addobbi natalizi. Sebbene ormai un po’ di spagnolo lo capisca, non sono riuscita a inserirmi nella conversazione. I discorsi erano a base di dollaro, euro e bolivar. Alla velocità del suono ne determinavano il valore, il cambio, le perdite, i guadagni... ragionando su cifre con un’infinità di zeri. Il buffet, lunghissimo, imbanditissimo, carico di ostriche e caviale; il tutto annaffiato con champagne Dom Pérignon. Gli innumerevoli gin tonic che hanno aperto come aperitivi la festa, mischiati ad altri numerosi alcolici l’hanno anche chiusa.
Me ne andai via prima che gli effetti coinvolgenti fossero troppo visibili. Qualcuno, salutandomi, mi chiese che cosa avrei fatto appena tornata in Italia... Risposi che per ricreare la flora psicologica sarei dovuta per lo meno andare con un’amica che ha una pensione sociale di trecentottanta euro al mese a mangiare alla Caritas. Non credo abbia capito, malgrado la risata al cognac invecchiato ventotto anni.



Altre pennellate sul Venezuela

Passeggiando ai piedi della montagna, la cui sommità alza 1800 metri, è quasi sempre tamponata da nuvole morbide che ne tolgono l’asprezza delle cime e si spostano in continuazione creando ai suoi fianchi, con la complicità del sole, giochi di colore che a capriccio ne intensificano o ne sbiadiscono il verde di cui è riccamente ammantata. È lei che domina una città di quasi sette milioni di abitanti, con la collana di una sopraelevata dove le macchine a intermittenza ne illuminano la notte alla base; lei, che dà la mano alle colline che a cerchio, tutt’attorno, raccolgono la città. Città non bella, dove non prevalgono stili, tranne i tantissimi centri commerciali che ne americanizzano l’atmosfera dell’interno, dove solo i bar, con le spremute e l’esposizione dei frutti di mille forme, mille colori e mille sapori sprigionano profumi e visioni tropicali.
Le colline dove vivono per lo più i locali non sono verdi ma coloratissime, fitte fitte di case che sembrano generate dalla terra stessa, come un’anomala fioritura senza radici, la cui tenuta è dovuta alla magia che le lega per mano l’una all’altra. Nessuna può permettersi di lasciare la presa, consce di catastrofi mortali. La notte, quando il buio spegne i colori, si accendono nelle case le luci, che le trasformano in un immenso presepe... quasi una rivincita artificiale sulla città.



L’agonia di una spinetta

Durante la mia solita passeggiata mattutina ai piedi della montagna perennemente imbronciata, sulla città convulsa e gioiosa anche quando è triste, ho visto appoggiata ad un enorme albero di mango una vecchia spinetta. Qualcuno l’aveva crudelmente abbandonata, come capita a certi cani quando arrivano le vacanze e diventano solo un ingombro per i loro amorevoli padroni. Per un maggiore appoggio verticale, le avevano staccato le gambe che, appaiate da un lato, mostravano la loro forma, mantenuta armoniosa e ben tornita malgrado i segni di un’osteoporosi che il tempo e le tarme avevano lasciato.
Timidamente alzai il coperchio di mogano lucido, al cui interno una targa di ottone, come un documento di identità, ne determinava l’anno di nascita e il luogo di provenienza: Berlino, 1830. I tasti, intatti e troppo bianchi per l’età, erano stati sapientemente incapsulati da un dentista del suono. E tutti insieme, ben allineati, mi sorrisero, inconsci della loro afasia. Immaginai dita piccole e inesperte premerli alla ricerca stupita di suoni; dita giovani e nervose su e giù per la tastiera, in un tutt’uno musicale; dita rugose, venose e stanche diffondere per anni e anni armonie ed emozioni condivise da generazioni.
Chiusi il coperchio, che il giorno dopo trovai semiaperto. Lo alzai con timore. La spinetta non sorrideva più. Qualcuno le aveva malamente estirpato i tasti, lasciandone intatti solo due.
Tentò un sorriso draculante. Mi fece pena... e piano piano glieli tolsi dall’alveolo di legno gengivale, dove si evidenziavano segni di carie curate in gioventù. La lasciai così, completamente sdentata ma ancora dignitosa, come una vecchia signora che la sera, rimasta sola, per un maggiore riposo si toglie la dentiera e non sorride più neanche a se stessa. Abbassai dolcemente il coperchio di mogano, e quelle lunghe labbra nere chiusero il mondo della spinetta berlinese, forse ignara che ciò sarà per sempre.



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