Il giallo del castello



Capitolo 1: Dieci piccoli indiani.

Dodici persone che non si conoscono devono passare tre mesi in un castello. Non si sono mai viste tra loro. Sono sei uomini e sei donne. Provengono da varie parti del paese. L’unica cosa che hanno in comune è l’età: hanno tutti più di sessanta anni. Sanno chi è il padrone di casa, ma non lo conoscono personalmente. Lui o loro non si fanno mai vedere, ma li osservano continuamente e ascoltano i loro discorsi. Potrebbe essere l’ordito di un giallo di Agata Christie. Dodici Super Senior come Dieci piccoli indiani. Non ci saranno delitti che lentamente ma inesorabilmente falceranno gli ospiti del castello. Ma qualcosa di simile, forse. Ci saranno delle autoeliminazioni per coloro che non ce la faranno a proseguire nell’esperimento. E come in tutti i delitti che si rispettano ci sarà un assassino, in questo caso, virtuale. Qualcuno che agirà più o meno allo scoperto per spingerli all’autoeliminazione.

Ma procediamo con ordine. In una bella giornata di settembre (Era una bella giornata di primavera... Ricordate? Iniziavano sempre così i dettati della maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria), i dodici Super Senior si incontrano in questo bel castello (ma senza marcondirondirondello...), portati singolarmente da eleganti autovetture con chauffeur. A riceverli, la banda e la gente del paese, il delizioso borgo di Castel S. Pietro nel dolce paesaggio collinare disseminato di ulivi, con un sapore già umbro-toscano, della Sabina. All’arrivo di ciascun ospite la banda suona e la gente applaude con simpatia ed entusiasmo. Li accoglie un signore con una chioma candida e fluente, che tutti pensano sia il padrone di casa. Si scoprirà poi che è uno dei dodici, il Generale, che arrivato per primo ha deciso col suo piglio autoritario di fare gli onori di casa. Si presentano, tutti, chi più chi meno, con dei grandi sorrisi stampati sulle labbra per fare buona impressione e per nascondere la tensione e l’imbarazzo. L’occhio del padrone di casa è già in azione (le telecamere) e lo sarà per tutti i tre mesi (cento giorni, per l’esattezza, come Napoleone), per dodici ore al giorno. Fatta conoscenza, si deve decidere chi dormirà con chi. L’assetto del castello non prevede dodici camere singole. Ci sono subito reazioni seccate di chi aveva espressamente richiesto una camera singola. In realtà le quattro camere singole sono stanze doppie comunicanti tra loro con il bagno in comune. E questo non piace affatto ai richiedenti della singola. Ma tant’è. Le camere sono comunque molto belle, alcune con una splendida vista sulla vallata con in fondo l’Abbazia di Farfa. L’impressione che se ne riceve affacciandosi è di una grande serenità. Fortunatamente qui la villettizzazione selvaggia tanto giustamente combattuta da Antonio Cederna non è ancora arrivata, tranne pochi casi che gli ulivi riescono a mascherare.

Per la prima sera la cena viene servita a cura dei padroni di casa, con ottimi piatti di tradizione locale. Dal giorno dopo, il rigido regolamento che i senior hanno firmato prima di essere ammessi nella casa prevederà che gli ospiti dovranno fare la spesa, prepararsi da mangiare, apparecchiare... Ci sarà un budget settimanale messo a loro disposizione e che dovranno gestire per l’acquisto di tutto, detersivi compresi. Ci sarà fortunatamente un servizio esterno per la pulizia della casa e la biancheria. Ma l’idea di rigovernare la cucina non piace a nessuno, e di comune accordo si decide di assumere il guardiano del castello e sua moglie, che a turno verranno due volte al giorno dopo i pasti. Ovviamente detraendo dal budget anche questo costo.

Inizia, così, la vita in comune di dodici sconosciuti. Dodici caratteri diversi, dodici culture differenti, dodici vite vissute diversamente, ognuno con la sua esperienza di vita che ha inciso sulla propria personalità. Personalità che affioreranno lentamente ma inesorabilmente con tutti i pregi e i difetti che sono ormai radicati a quell’età. Ma per ora tutti si sorridono e si fanno cortesie.


Capitolo 2: Il ventre dell’architetto.

I giorni cominciano a scorrere dapprima lenti poi più velocemente, come carte da gioco date da un cartaio che voglia esaurire presto il suo compito. E ogni giorno è una carta diversa che offre differenti possibilità al giocatore. Ma non tutte le carte sono buone, e spesso il gioco diventa noioso. Si cominciano a fare conoscenze con la gente del posto. Gli ospiti possono uscire, anche se sempre seguiti dalle telecamere, gli occhi dei misteriosi padroni di casa. La sera si va nella piazzetta del paese a bere una cosa nell’unico bar di Castel S. Pietro. Si chiacchiera con i locali. A volte muniti di strumenti, si canta e si balla. Per alcuni è un ennesimo modo di mettersi in vista e appagare la propria voglia di esibizionismo, a volte un po’ troppo rumoroso ed eccessivo, con un effetto da strapaese che suscita il malcontento di altri del gruppo che non approvano certi eccessi. È come se i primi volessero strumentalizzare i simpatici e un po’ sprovveduti residenti ad uso del loro protagonismo. E poi questi dissidenti, forse più esigenti intellettualmente, magari pensavano di passare le serate in un modo più interessante e meno nazional-popolare. Non c’è nessuno snobismo da parte loro, solo un desidero di maggior impegno. A colmare questa lacuna concorre la conoscenza di un architetto, vicino di casa, colto, affascinante, un vero gentiluomo di campagna, ma anche di città. Era il proprietario di tutto il castello, che poi in parte ha venduto riservandosi un lato per se e i suoi familiari. È nella parte venduta e ristrutturata che sono ospitati i dodici senior. L’architetto si propone come guida per far scoprire loro le bellezze della Sabina e li accompagna in una interessante e piacevole visita all’Abbazia di Farfa. Poi li invita spesso a casa sua. Offre loro vini pregiati della Sabina. La prima sera la casa è illuminata solo da candele, con un suggestivo effetto alla Barry Lyndon, con sottofondo di musica barocca. Finalmente, per i più esigenti del gruppo un modo piacevole e interessante di trascorrere una serata. Ma le anime semplici, quelle che preferiscono i balli in piazza, restano perplesse da tanta raffinatezza. E tra queste ci sono anche persone di un certo livello sociale. Ma si annoiano. Forse per loro è più importante parlare di se stessi. Un’altra sera li invita tutti a salire sulla terrazza nella parte alta della casa ancora da restaurare ma comunque molto suggestiva. È una serata splendida, il cielo è stellato come ormai non lo si vede più da anni nelle grandi città. Qui non ci sono troppe luci. E si può vedere Marte che in questo periodo è più vicino alla Terra. Uno spettacolo che commuove e affascina anche i disimpegnati del gruppo. Ma nonostante il momento magico, per alcuni entrare nella casa dell’architetto li fa sentire come Giona nel ventre della balena.

I giorni continuano a scorrere sempre uguali e sempre diversi, come uno strano solitario diverso ma ripetitivo. Poi di nuovo le carte si mescolano male. A volte il gioco si fa duro. Alcuni scoprono troppo le loro, senza problemi. Altri bluffano o si chiudono. Occorre stabilire allora delle regole precise per il giuoco, ma non è facile. I contorni caratteriali di ciascuno cominciano a definirsi, come un ectoplasma interiore che si materializzi. Ma al contrario dei fantasmi che amano rivelare il proprio stato d’animo anche in modo appariscente ma non hanno fisicità, gli ospiti del castello hanno ovviamente dimostrato subito la loro presenza fisica, la loro gestualità, la loro voce come tutti gli esseri umani. Ma la conoscenza della propria interiorità nasce dalla convivenza giornaliera. E gradualmente l’ectoplasma del proprio io prende corpo. E una volta materializzato si scontra più facilmente con gli altri, materializzati a loro volta.


Capitolo 3: Via dalla pazza folla.

Ma due di loro non ce la fanno. L’agnizione caratteriale rivela delle difficoltà insuperabili per loro. Sono un uomo e una donna. Lei una dolce signora dagli occhi azzurri e dal volto incorniciato da una bianca capigliatura. Colta, intelligente, una vera lady. Parla pochissimo ma quando lo fa dice delle cose sensate e fa degli interventi giusti. È estremamente timida e riservata, al punto che alcuni si chiedono perché abbia accettato la lunga permanenza nel castello. Lega molto con alcuni di loro, forse i più sensibili e preparati, molto meno con altri. Ma la sua signorilità le impedisce di avere scontri, e si limita, quando non è d’accordo, a osservare in silenzio. Lui è un bell’uomo, affascinante, colto, preparato. Un signore anche lui. Ma forse ha un modo di proporsi che crea degli attriti soprattutto, stranamente, fra alcuni elementi femminili del gruppo. Forse non subiscono il suo fascino, o lo subiscono troppo e inconsciamente lo rifiutano. O forse segretamente innamorate di lui e non corrisposte? Chissà?!. Meglio restare nel campo delle supposizioni. Forse sono solo fantasie. Ma la tensione in alcuni momenti diventa forte. Il suo modo di fare delle proposte viene scambiato per arroganza e per voglia di imporsi. Forse lui si comporta così perché non si sente a suo agio e sente la chiusura dei suoi avversari.

Comunque rinuncia. Il regolamento lo prevede. E lei, la dolce signora eterea, lo segue. Forse da sola non avrebbe trovato la forza di andar via, anche se il suo desiderio era nell’aria. Ma si lascia trascinare volentieri. In due si fugge meglio. Via dal pazzo gruppo dei senior!

Ora sono davvero rimasti in dieci, come i piccoli indiani di Agata Christie. Ma i due saranno presto sostituiti. È previsto anche quello.

Ora che i due sono stati eliminati, i superstiti si comportano con maggiore attenzione, sono più riflessivi e rispettosi degli altri. Forse per evitare che la virtuale mannaia si abbatta su uno di loro. Un sospetto aleggia nell’aria. Forse qualcuno ha agito nell’ombra per spingere i due a scomparire? Che ci sia una talpa nel gruppo? Ma chi lo pensa non lo dice e preferisce restare nel dubbio. Confidarsi con qualcuno potrebbe essere pericoloso. E se fosse la talpa?

Il giallo continua cosi come la vita al castello. Che nelle giornate più solari si tinge anche di rosa. I senior hanno a volte la spensieratezza e la voglia di dimenticare tipica dei giovani. Carpe diem è una soluzione sempre ottimale quando si è in là con gli anni. Un’ottima filosofia di pensiero, quando si sente che inevitabilmente ci si sta avvicinando, nel modo più lento possibile, si spera, alla soluzione finale. E allora sotto con gli scherzi, le boutade, le barzellette a volte un po’ pesanti, con le signore che fanno finta di scandalizzarsi. Se c’è la talpa è meglio farla ridere di gusto. Riferirà che tutto procede bene. Tutto va ben, madama la marchesa.


Capitolo 4: Il gioco delle parti.

È tempo ormai di tuffarsi a tempo pieno nel compito loro affidato. Perché, è ora di rivelarlo, agli ospiti è stato affidato un impegno preciso da eseguire. Nei tre mesi di permanenza al castello dovranno scrivere un testo teatrale con musiche che poi dovranno interpretare in un teatro, su un vero palcoscenico, ripresi dalle telecamere. Perché di una trasmissione televisiva si tratta, che trasmette giornalmente e settimanalmente una selezione di quello che succede al castello. È un impegno arduo, anche se per tutti estremamente affascinante. Molti di loro non hanno mai recitato e sarà la prima volta che parteciperanno alla stesura di un testo e calcheranno le tavole del palcoscenico. Ma come in una boite à surprise, scoprono che tra di loro ci sono dei musicisti, degli autori di canzoni validissime, dei cantanti, dei poeti, perfino un ballerino ancora agile per la sua età. E un attore e regista di professione, anche se principalmente in teatri di provincia. A lui viene affidata la regia. Due le scrittrici-poetesse che scriveranno i testi. Al ballerino-cantante, che è un arredatore nella vita, viene affidata la scenografia. Alla decana del gruppo, una frizzante e simpatica signora piemontese che ha un passato di costumista, ovviamente i costumi. Insomma, i ruoli più importanti sembrano definiti. Ma inizia il gioco delle parti. Il regista decide che sarà suo il testo da dirigere e inizia a scriverlo in gran segreto. Tutti mettono bocca dappertutto, creando a volte più confusione che dare suggerimenti validi.

Quando il regista legge il suo testo al gruppo, tutti restano perplessi. Tutto pregno del sacro fuoco del Teatro con la T maiuscola che lui crede essere il suo tipo di teatro, ha scritto un testo anche interessante per certi versi ma che si rifà troppo a un certo teatro del passato. Se fosse una ricetta si potrebbe dire: prendere una presa di Beckett, una di Ionesco, una spruzzatina di qualche altro testo sacro del Teatro dell’Assurdo, un pizzico di Pirandello, e servire ben caldo.

Impegnato, certo, ma troppo! Questo è Teatro vero, teatro di parola, sostiene lui. Ma noi non siamo attori professionisti, sostengono gli altri. I più vogliono fare si un testo che abbia dei significati, che possibilmente dica delle cose intelligenti, ma che le dica in modo leggero, gradevole, e poi non solo teatro di parole, si rischia di finire nella filodrammatica, devono esserci canzoni e musiche. E iniziano i primi profondi dissensi che andranno avanti fino a pochi giorni dallo spettacolo, mettendo in serio pericolo l’andata in scena.

Il regista non accetta consigli, non permette che si cambi nemmeno una virgola al suo testo, ostinato in modo assurdo visto che è anche un lavoro di gruppo. Ma non c’è niente da fare. È la sua prima uscita dal gruppo e ce ne saranno altre in seguito. Per tre giorni, offeso, non si presenta alle prime prove fatte con del materiale degli altri e messo insieme dalle due autrici, prendendo comunque molte cose che si ritengono valide dal suo testo. Ma niente da fare. Fatevelo voi! Sarà il suo tormentone per due mesi, se non si fa come dice lui.

Si prosegue con difficoltà. Si decide di proporgli di rientrare limitandosi al suo lavoro di regista, e lui sembra accettare. Ma continuerà a scrivere testi per conto suo, pretendendo che siano rappresentati quelli, solo quelli. Lui dirigerà solo i suoi testi, altrimenti... fatevelo voi!

Comunque anche la stesura e l’affidamento delle parti non è facile. Alcuni hanno una gran voglia di protagonismo. E sono di nuovo grandi discussioni anche molto animate.

Forse le uniche due volte in cui tutto il gruppo si trova in assoluto accordo è quando si decide di affidare allo scenografo-ballerino due numeri, uno di canto e uno di ballo, che lui sembra eseguire bene. E lui è molto lusingato di questo suffragio... universale. Ma poi qualcuno conta i minuti e decide che sono troppi. Lui sarebbe quello che in assoluto sta più in scena degli altri. Ognuno deve avere lo stesso tempo. Proposta sciocca. È vero che è un lavoro corale, ma se qualcuno sfora di qualche minuto perché ha un numero più lungo non è grave, soprattutto se lo fa bene. È a tutto vantaggio dello spettacolo. Comunque si taglierà qualcosa per contentare i contestatari, che poi saranno quelli ad avere più spazio nello spettacolo definitivo. Il gioco delle parti diventa un balletto di Erik Satie! O forse i sei personaggi o questa sera si recita a soggetto di pirandelliana memoria e, in questo caso, forse sarebbe felice il regista! Comunque quando litigano sembrano delle marionette impazzite che si agitano, parlano a vanvera, gesticolano. Eccolo il Teatro dell’Assurdo: ci sono dentro e non lo sanno. Ma questa è la magia del teatro! Venghino, siore e siori, più gente entra più animali si vedono!


Capitolo 5: Intervista col vampiro.

Con cadenza settimanale, gli ospiti del castello vengono chiamati separatamente per un intervista col regista della trasmissione serale. Un uomo di grande qualità, un intellettuale gentiluomo che con la sua voce pacata e sommessa fa domande anche provocatorie. Non è certamente un vampiro, anzi tutt’altro, ma al buio della stanza col letto a baldacchino, normalmente usata per i familiari in visita, con solo la luce per la telecamere, la sua voce che emerge dalla penombra ha un potere un po’ ipnotico per gli intervistati. E in quel momento si sentono inconsciamente un po’ vampirizzati. Alcuni cercano di mantenersi lucidi, altri sono coinvolti in pieno e parlano a ruota libera facendo commenti sulla produzione, sulla trasmissione, ma soprattutto sugli altri senior. Perché il vampiro gentiluomo fa domande dirette sul comportamento degli altri, e chi non è d’accordo si lascia andare a commenti severi. Ma l’obbiettivo implacabile registra tutto e manda in onda quasi tutto. E allora musi lunghi e anche diverbi da parte di chi è stato criticato. Sembra quasi che tutto questo sia voluto per metterli alla prova. Ma forse anche, ed è comprensibile, per rendere più piccante il contenuto delle trasmissioni. Un po’ di peperoncino non guasta mai, assicurano i migliori chef. Ma senza eccessi. Ed è questo il giudizio unanime della stampa. Un reality show di qualità e buon gusto, senza mai cadere nel triviale. E se l’audience non è alta è proprio per questo. La TV spazzatura piace alle masse, ahimè.

In tema di vampiri, una sera un pipistrello, anzi una nottola, per la precisione, entra nella stanza da pranzo passando tra le inferriate delle finestre, e non riesce a ritrovare la strada per uscire... È l’ora di cena, e dopo inutili tentativi di indirizzare la povera nottola spaventata verso l’esterno, si decide di sedersi a tavola perché le pietanze preparate rischiano di rovinarsi. Tutti i senior danno prova di grande controllo, anche le signore. Forse sperano che la nottola si materializzi nella figura del regista gentiluomo, e si mettono a nudo il collo per farsi mordicchiare. Alcune solo perché affascinate da lui, altre sperando magari di avere più spazio nelle riprese. Cosa non farebbero per un primo piano in più! Ma anche gli uomini non scherzano. Anche tra di loro le prime donne non mancano. È vero che i soffitti sono alti, ma mangiare con una nottola che svolazza sulle teste non è piacevole, perlomeno inconsueto. Si lasciano le finestre aperte anche se è già freddino, e finalmente la povera bestia riesce a volar via nella notte. E con essa forse anche i sogni di gloria di qualcuno.

Ancora non si sa se veramente ci sia una talpa e, se questa ipotesi fosse vera, chi è. Ma è certo che soprattutto di sera i più ambiziosi si trasformano involontariamente in talpe, e cercano al buio di entrare in contatto diretto con le persone che contano nella trasmissione. Gli alti dirigenti, i registi, l’affascinante Sermonti, monopolizzato da voci suadenti e sguardi imploranti per sapere di tutto e di più sui segreti e sui retroscena della trasmissione. Si appartano con aria cospiratrice con la vittima prescelta, fulminando con gli occhi chi tenta, ignaro, di avvicinarsi per partecipare alla conversazione. E sfoggiamo il giorno dopo le notizie carpite, con fare da 007 che abbiano carpito importanti segreti militari. Che spesso si rivelano normali informazioni alla portata di tutti. E come ci restano male, realizzando di non avere l’esclusiva dello scoop.

Finalmente viene annunciato che i due rinunciatari saranno sostituiti da due nuovi arrivi. Anzi, per movimentare il soggiorno al castello (come ce ne fosse bisogno, con tutti i litigi che succedono!), saranno i dieci Super Senior rimasti a intervistare i candidati. Viene allestito nella sala prove un tavolo con tutti loro seduti come dei docenti esaminatori. I candidati entrano uno alla volta per la selezione. Va detto che i senior, ricordando di essere stati a loro volta esaminati per la selezione, non infieriscono. Anzi, dimostrano molta affabilità per mettere a proprio agio l’esaminando. Alla fine ci sarà una votazione, con un’urna regolare per ricevere le schede. Il tutto simpaticamente presieduto da Pietro Sermonti.

I due vincitori, un uomo e una donna, vengono ricevuti con calore. Ma l’uomo dopo soli tre giorni se ne andrà in seguito a un forte scontro con il senior che fa la regia dello spettacolo. Il regista intransigente ha colpito ancora! Resterà la parte femminile dei due vincitori, una bella signora romana, con il pallino del suo angelo custode. Lei asserisce di averlo sempre accanto a sé e lo chiama Ugo. Pazienza! Gli altri accetteranno di buon grado, facendo finta di credere a questa presenza del resto assolutamente invisibile e quindi molto discreta.

Una dolce signora di Genova (a volte anche agguerrita con chi la contraddice) deve abbandonare con dolore il castello, ricattata da un marito possessivo che minaccia di fare qualche follia se non torna subito a casa. E con le lacrime agli occhi, per una vera causa di forza maggiore indipendente dalla sua volontà, deve abbandonare anche lei.

Ora sono veramente rimasti in dieci, come i piccoli indiani, e la decimazione incruenta è salita a quattro. Ormai non c’è più tempo per altre sostituzioni. Manca meno di un mese allo spettacolo. Ma ancora tutto sembra in alto mare. Riusciranno i nostri eroi ad approdare sani e salvi nella terra promessa, cioè il palcoscenico? Sembrerebbe di no. Ma per saperlo aspettate il prossimo capitolo. Come in tutti i feuilleton che si rispettano, il seguito al prossimo numero.


Capitolo 6: Questa sera si recita a soggetto.

Mancano ormai meno di venti giorni e lo spettacolo non va avanti. I contrasti aumentano. Il regista insiste con il suo copione, ignorando quello scritto come da decisione generale dalle due autrici incaricate. Non ammette un cambio di una virgola altrimenti “fatevelo da voi”, dice, e questo tormentone è il leit motif delle prove. Al suo ennesimo rifiuto di continuare, estraniandosi completamente dalle prove, si decide di chiamare un regista esterno, un professionista che possa aiutare a uscire dall’impasse in cui ormai si trovano i senior. È prevista dal regolamento la richiesta di un intervento esterno, in caso di necessità. La produzione chiama Fabio Lionello, figlio di Oreste Lionello, che con l’aiuto della sorella Alessia prende in mano le redini della situazione. Si presenta spiritosamente con una cassetta di attrezzi chiedendo: “Dov’è il guasto?” Si cominciano le prove sotto la sua direzione. Ma, forse per la sindrome da debutto, tutti sono nel pallone. Si dimenticano le battute, sbagliano le entrate, ritardano gli attacchi. Insomma, tutti veramente recitano a soggetto senza tener conto del copione. E Fabio e sua sorella Alessia perdono più volte le staffe di fronte all’immobilismo ostinato degli attori.

I testi sono buoni, le canzoni belle, ma tutto sembra slegato e privo di senso. E Fabio compie il miracolo. In quindici giorni riesce a dare un senso al copione con pochi, mirati interventi. Una breve battuta per legare tra loro due numeri apparentemente senza connessione, una limatina qua e là, un taglio o un’aggiunta inseriti al punto giusto. Le canzoni vengono da lui sceneggiate in modo leggero e gradevole, con movimenti garbati e facilmente eseguibili da attori non professionisti. Tra una papera e una stonatura, un vuoto di memoria e un attacco sbagliato, si va avanti.

I direttori e i registi della trasmissione ancora hanno seri dubbi sulla riuscita dello spettacolo, mentre il countdown si fa sempre più serrato. Ma come in un impossibile puzzle, le tessere cominciano ad inserirsi nel modo giusto. Forse la talpa non c’è più o non c’è mai stata. O si è distratta con la tensione delle prove e il vicino debutto. Fabio convince l’ex regista a rientrare nel gruppo, e diligentemente prende parte alle prove.

E presentiamo finalmente i Super Senior e i misteriosi padroni di casa che, ormai, misteriosi non sono più. I giochi sono quasi fatti. Il giallo si sta tingendo di rosa, anche se in certi momenti di conflitto era quasi nero.

Cominciamo con i Super Senior, ai quali saranno abbinati dei titoli di film o testi teatrali, tanto per restare in argomento con i nomi dei capitoli. I lettori si divertiranno a individuare i loro caratteri e la loro personalità, sempre che gli accoppiamenti siano felici. Ma speriamo di si. È più semplice e più intrigante, piuttosto che perdersi in descrizioni più o meno dettagliate dei loro pregi e difetti. E poi questo sembrerebbe un giudizio che potrebbe sembrare presuntuoso da parte di chi scrive Non bisogna mai ergersi a giudici degli altri. Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu, cantava la Caselli detta Casco d’oro. I lettori senior ricorderanno che questo era il titolo di un celebre e bel film di Jacques Becker, con la splendida Simone Signoret e Serge Reggiani.

LILIANA La signora mia zia
GIUSEPPE Il generale non si arrende, oppure Siamo uomini o... generali?
MILENA La locandiera
IVANA Mamma Roma
SALVO Il principe delle volpi
FRANCESCO La grande abbuffata, oppure Carosello napoletano
GIULIANA Donne sull’orlo di una crisi di nervi
MIRA La bella di Roma
ALDO Kean (genio e sregolatezza), oppure Il diavolo in calzoncini rosa
LUCIANO Parole e musica, oppure Il ritratto di Dorian Gray


Capitolo 7: Spettacolo di varietà.

SI VA IN SCENA!!!

Ormai manca pochissimo tempo. Gli ultimi giorni i senior vanno a Roma per le prove di palcoscenico in teatro, che, ormai si sa, è il Brancaccio. Eravamo rimasti tutti molto emozionati quando ci era stato comunicato il nome del teatro. Un teatro cosi importante ma soprattutto cosi grande e con un palcoscenico cosi ampio che temevamo ci avrebbe schiacciati e dispersi. Ma niente paura. Il palcoscenico è occupato dalle scenografie del musical in scena in quel momento, Sette spose per sette fratelli, che verranno coperta da un sipario nero. Noi agiremo nella parte anteriore, una... fetta di palcoscenico anche se è il proscenio, ma per giunta su vari livelli con tanti gradini. L’ideale per dei senior non più ventenni! Ecco perché mi era stato detto di sospendere la scenografia progettata, già in fase di disegni esecutivi eseguiti dai miei amici architetti dello Studio Transit Design di Roma ai quali va il nostro e il mio personale ringraziamento e con il bellissimo plastico già realizzato dal bravissimo Giampaolo Perilli. Un grazie di cuore anche a lui. In scena ci sarà un divano e le sedie regista che erano nella sala prove a Castel S. Pietro. Salta l’idea della scenografia tutta bianca (una serie di gradoni ispirati agli anfiteatri romani) con noi tutti in nero. In realtà sarà nero su nero! Ma Fabio Lionello compirà ancora un miracolo. Un sapiente gioco di luci, il grande cartellone sullo sfondo con il logo e la scritta dei Super Senior, e l’effetto sarà bellissimo.

E con altre soluzioni intelligenti. Noi, per esempio, che entriamo in scena all’inizio dello show portando ciascuno la sua sedia come fosse un attrezzo indispensabile del nostro nuovo mestiere di attore, la disposizione a ventaglio delle stesse su vari livelli risolve egregiamente la situazione. Anche il difetto dei troppi gradini diventa un pregio, perché movimenta la scena. E vanno bene per la Wandissima, un po’ meno per Giuliana che prima di entrare in scena è caduta in un buco nelle quinte slogandosi malamente una caviglia. Scopriremo al pronto soccorso dove la porteremo quasi a viva forza, a notte alta, che si tratta di una frattura. Ma lei, intrepida, ha recitato su e giù per i gradini, soffocando il dolore. The show must go on. Onore al merito! E va un po’ meno bene per me (tanto ormai avete capito chi sono), che devo ballare Singing in the rain in uno spazio molto ristretto o saltellando anch’io su è giù per i gradini. Rischiavo di fare... quattro salti in padella, ma è andata bene.

Le prove in teatro migliorano le prestazioni degli attori. Il puzzle è quasi completo. Ancora qualche tessera da assestare, ma le cose sembrano andare meglio. Veniamo a sapere che il lunedì, giorno del debutto, dovremo provare anche la mattina per le prove delle telecamere. La cosa ci spaventa un po’, è uno stress al quale non siamo abituati. Ma sarà la nostra prova generale con i costumi e tutto. Finiamo alle quattro e mezzo, dopo una breve pausa per un panino, e alle cinque e un quarto andiamo in scena! Ma sarà come aver ripassato i testi fino a mezz’ora prima di sostenere l’esame. Ci sentiamo più preparati. E la magia del teatro compirà il miracolo. Lo spettacolo va benissimo. Tutti bravi e sicuri, con pochissime incertezze risolte nel modo migliore. Io sarò quello ad avere l’incertezza più evidente. Al momento di entrare in scena per il mio numero del Dottor Jack, un applauso fragoroso e caloroso mi accoglie. È quello che si chiama in gergo teatrale l’applauso di entrata! Prima avevo avuto anche un applauso a scena aperta dopo la battuta sul sogno del lavoro fisso. Non mi posso lamentare. Ma l’applauso di entrata, pur lusingandomi moltissimo, mi spiazza, mi deconcentra (in fondo non sono abituato). Ho un vuoto di memoria e non ricordo più quello che devo dire. Fortunatamente continuo a cantare, dicendo la, la, la, la... E stranamente mantengo la calma, io che sono un emotivo, pensando che qualcosa succederà per poter continuare (l’adrenalina ha i suoi effetti benefici!). Milena e Ivana sono in quinta sui due lati opposti, perché mi devono passare il bastone e il cilindro. Milena, che è una compagna preziosa con la sua memoria ferrea, mi suggerisce laureato. La strofa dimenticata dice: Siete un uomo raffinato, siete colto, laureato... Ma io non la sento, sono troppo lontano. La strofa successiva dice: Col bastone, col pomello... Ivana, dalla quinta mi suggerisce bastone. Sono più vicino a lei, e questa volta la sento. Grazie, Ivana. Sei stata la mia salvezza. Ho ripreso alla grande e ho finito la mia canzone, credo benissimo, a giudicare dagli applausi finali. Pare che con il mio blocco ho fatto venire un infarto a tutti quelli della produzione (registi, tecnici, cameraman, ecc.) che mi seguivano, devo dire, con molto affetto. I miei due numeri (Dottor Jack e Cantando sotto la pioggia) erano stati messi in finale proprio perché considerati tra quelli di punta dello spettacolo. Spero di non averli delusi. Ma credo di no. La cosa divertente è che dopo che mi sono ripreso (Ivana mi ha passato il bastone mentre cantavo la strofa giusta), Milena mi doveva passare il cilindro mentre cantavo un cilindro per cappello, ma era previsto che il cilindro cadesse in terra. Io, seccato, la guardavo fulminandola, mentre la musica si interrompeva. E dopo qualche attimo ricominciavo a cantare. Ebbene, qualcuno in sala ha pensato ad un secondo errore! Segno che l’abbiamo fatto bene!

Sono stati tutti bravi: Liliana con la sua verve; Ivana brava attrice, una romana spontanea tipo Giovanna Ralli; Giuliana con le sue belle canzoni e la caviglia rotta; Mira, drammatica nel ricordo del padre ucciso alle Fosse Ardeatine ed effervescente in altri momenti; Milena, sicura di sé; Francesco con il suo fervore napoletano; Giuseppe, sempre un po’ Generale, anche in scena; Aldo, che con la sua professionalità ha salvato egregiamente un momento di vuoto; Salvo con le sue belle canzoni e la sua eleganza da chansonnier (tra Maurice Chevalier e Odoardo Spadaro). Lo ringrazio ancora per avermi dato la possibilità, e lo ha fatto con grande convinzione, di cantare la sua canzone, Dottor Jack.

Alla fine grandi applausi, e tutti sono saliti sul palcoscenico a congratularsi. Ricordo vagamente quei momenti di... gloria. Forse anche gli altri. Ancora non ci credevamo che lo spettacolo fosse andato così bene. Ma ricordo con chiarezza Serena Autieri, che era stata un’ospite della trasmissione, venirmi incontro e complimentarsi con parole entusiastiche per la mia interpretazione. Pensare di ricevere queste gratificazioni da un’attrice bella e famosa anche se così giovane, a me che non sono nessuno, mi ha fatto sentire al settimo cielo e sono piacevolmente annegato nei suoi splendidi occhi. Grazie, Serena.

E poi tutti gli amici, tra cui Claudia Giannotti, bravissima attrice e ottima e severa insegnante di dizione e recitazione. Il suo plauso mi ha... rincuorato. E Fabio Lionello mi ha detto “Bravo!”, e questo mi ha inorgoglito. Avevo vinto la battaglia. Una sfida con me stesso. Perché ero io il primo a credere che non ce l’avrei fatta!

Quella notte ho dormito senza la solita pillola. Eravamo anche stanchi, è vero, dopo aver fatto in pratica due spettacoli. Ma il piacere di aver... vinto è stato un ottimo sostituto del Tavor.


Epilogo: Polvere di stelle.

E adesso la magnifica avventura è terminata. Grande commozione alla partenza, addii con lacrime, promesse di restare in contatto. Poi tutti siamo tornati alla vita di tutti i giorni. Anche se con qualche cambiamento. La gente per strada ci riconosce, ci ferma, ci saluta, ci ringrazia per le emozioni che abbiamo dato loro. Una signora mi dice: “Con voi mi sono divertita e mi sono commossa. Grazie.” Insomma, quello striminzito 4% di audience è tutto per strada o al computer che ci saluta e ci invia e-mail! E tra di loro ci sono moltissimi giovani, il che ci fa molto piacere.

Comunque siamo rimasti in contatto anche per parlare del nostro futuro artistico. Quello che dispiace a tutti è la latitanza di Rai e Palomar una volta finite le trasmissioni. Contavamo sul fatto che la nostra esperienza avesse una maggiore risonanza con partecipazioni a trasmissioni come ospiti. Finalmente il mese scorso ci chiama Rai Uno per un provino, in caso di una partecipazione a Uno Mattina. La cosa non ha avuto seguito, ma ci rincuora il positivo segno di ricordarsi di noi dopo tanto silenzio. Poi il 31 marzo siamo stati invitati (purtroppo solo quelli residenti a Roma, per ragioni logistiche) a Cominciamo bene su Rai Tre. E il nome dei Super Senior è di nuovo risuonato per... l’aere.

Il nostro non è solo il desiderio di apparire per voglia di protagonismo. Forse lo è per qualcuno di noi, ma per i più è soltanto il voler evitare di cadere nel dimenticatoio generale. Forse faremo delle repliche dello spettacolo a giugno. Per quanto mi riguarda sarebbe un modo di rivivere la bella esperienza e riproporre le nostre emozioni al pubblico. Chi ha provato almeno una volta come noi il contatto col pubblico non lo dimentica. Ma non vorrei che ci trovassimo nella stessa situazione dei protagonisti di Polvere di stelle. Ricordate? Alberto Sordi e Monica Vitti, attorucoli di avanspettacolo, si trovano a Bari liberata dagli alleati e fanno uno spettacolo al Petruzzelli (chissà quando il glorioso teatro sarà ricostruito. A Venezia, il teatro La Fenice è già rinato. Ma forse dipende dal nome, il magico uccello che risorge dalle sue ceneri). Hanno un gran successo dovuto al momento particolare, all’entusiasmo degli americani, al teatro importante. Ma sarà un successo effimero. Tornati a Roma, nessuno crederà alla loro esperienza e stenteranno a trovare qualche ingaggio per miseri spettacolini in qualche dimenticata provincia. Ecco, se la nostra avventura non dovesse avere alcun seguito, io smetterò di parlarne. Sarebbe patetico per chi mi ascolta. Resterò soltanto con una manciata di polvere di stelle.

Ma permettetemi di aggiungere una postilla per presentare tutti i... padroni di casa. I nomi dei senior sono stati già svelati. Ora tocca a loro. Angelo Guglielmi e Bruno Voglino hanno manovrato i fili. E con loro Andrea Salvadore, il fascinoso gentiluomo che ci vampirizzava (ma è solo uno scherzo...), e Danila Lostumbo con la sua vulcanicità tutta mediterranea, una Irene Papas della Magna Grecia. E Tiziana e Josè, passati come meteore ma che ci hanno lasciato un bel ricordo. E tutto lo staff, ragazzi meravigliosi che ci hanno seguito con un affetto e una simpatia commovente. Domenico, Alessandro, Fabrizia, Giulia, Franco, Antonello, Gianni, Mirko, Giampaolo, Emma, Francesco, Ivano e figlio, le due Federica. E poi tutti quelli delle stanze dei bottoni, che abbiamo conosciuto alla fine: Vincenzo, Sergio, Daniele, Ombretta, Andreina (mia grande ammiratrice. Grazie!). E mi scuso se ho dimenticato qualcuno. Chissà, magari è voluto... Ma credo di no!

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